Santo Natale
2009
Non demordere!
“Se noi non desistiamo, a suo tempo mieteremo”
Gal 6,9
Carissimi Confratelli e Consorelle,
A meno di un anno da Capitolo Generale (Ottobre 2010), mi sembra utile, se non necessario, ricordare quello che viene richiesto all’oratore nel Capitolo Generale (cfr Dir n°208) “…dispone i Padri Capitolari a cercare ciò che Dio vuole da loro secondo il carisma di San Bernardo Tolomei e lo Spirito della Regola”. Questa ricerca non può concludersi solamente nell’approfondimento delle fonti, delle caratteristiche dei nostri Santi Padri, della conoscenza delle nostre tradizioni, ma deve sfociare nell’incarnare nel nostro tempo e nel nostro linguaggio, l’intuizione divina che hanno ricevuto con la grazia i nostri Fondatori.
In altre parole si tratta di risvegliare personalmente e comunitariamente il nostro carisma di monaci di Santa Maria di Monte Oliveto; infatti il carisma non opera da solo, non è la bacchetta magica che da sola, invocandone il nome, risolve tutto rapidamente ed efficacemente.
Il carisma non agisce da solo; come la linfa degli alberi comincia a dare vita quando la primavera la risveglia, così occorre risvegliare il carisma in noi, nella Comunità, nella Congregazione, sollecitati dalla grazia e dal dono della Canonizzazione del nostro Santo Fondatore Bernardo Tolomei.
Ci può essere utile tenere presente com’è descritto il “carisma” in un documento della Santa Sede: “Il carisma dei Fondatori si rivela come esperienza dello Spirito trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita, e costantemente sviluppata, in sintonia con il corpo di Cristo in perenne crescita”. (Mutuae Relationes n°2)
Occorre integrare nella nostra vita monastica di ogni giorno gli elementi che compongono il carisma, vivificando col medesimo carisma la nostra identità e il nostro essere monaci di Santa Maria di Monte Oliveto, cioè, il carisma va vissuto e attuato perché ciascuno di noi si senta più motivato.
Vivere il carisma non significa sognare una realtà ormai passata (sondare e richiamare il carisma delle origini), ma trarre fuori dal passato, o meglio, dalle nostre sorgenti la stessa forza, energia e vitalità con cui i nostri Padri Fondatori lo hanno recepito e vissuto. Risvegliare il carisma comporta che tutto il nostro agire sia caratterizzato da una identità chiara e definita, da uno specifico stile di vita.
Risvegliare il carisma in noi stessi è attuare il pensiero del nostro Fondatore, adattandolo alle situazioni dei nostri tempi! Questo richiede un doppio impegno: conoscere sempre meglio e amare il carisma, conoscere e saper valorizzare le situazioni attuali , rendendole monito propizio, proprio per realizzare il carisma .
Risvegliare il carisma ci impegna a riproporre con coraggio l’intraprendenza, l’inventiva e la santità di San Bernardo Tolomei e dei suoi primi compagni, come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi, alle situazioni attuali e alle circostanze in cui si ritrovano le nostre comunità.
E’ necessario dunque che ancora una volta ci riappropriamo del nostro carisma (riappropriarsi = un termine usato dal Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, S.E. Franco Rodé). Come?
Non basta il momento della conoscenza, e in questi anni non solo è stato realizzato molto, ma di questa indagine restano tre testi basilari: REGARDER LE ROCHER, PADRI OLIVETANI (ed Qiqajon), S. BERNARDO TOLOMEI E LO SPIRITO DELLA FAMIGLIA MONASTICA DI MONTE OLIVETO (2° ed). La trasmissione di un carisma è un fatto vitale, non un indottrinamento o uno scambio di pareri. Si tratta di fare comunione che è accoglienza, consonanza di cuori, di attese e di valori.
Occorre, in un secondo momento, un processo di assimilazione che poi si sviluppa nel momento di trasmissione, specialmente da parte dei Superiori e dei Formatori.
S. Bernardo Tolomei, aprendosi all’azione dello Spirito conobbe ed accolse il carisma, lo visse e lo trasmise. Questa esperienza dello Spirito non lasciò indifferente la persona di Bernardo; la sua esperienza fu così forte da condividerla con i suoi primi compagni e poi trasmetterla ai suoi figli.
Il nostro San Bernardo Tolomei si è lasciato innamorare del Cristo e ha trasmesso a noi l’impegno di estendere l’amore di Cristo non solo ai fratelli della propria comunità, ma di tutta la Congregazione.
Ebbene, come affermò dom Giorgio M. Picasso in un suo intervento a Roma in preparazione alla canonizzazione “Tutti coloro che hanno studiato il carisma proprio della Congregazione Olivetana, all’interno dell’OSB, carisma detto altrimenti gratia et spiritus, hanno rimarcato la funzione della communio nell’alternarsi delle cariche, nei frequenti Capitoli Generali, nel favorire la reciproca conoscenza, ma soprattutto nella carità da custodire e incrementare (sono titoli precisi delle più antiche Costituzioni)… ecco il messaggio e allo stesso tempo il monito che i nostri padri ci hanno lasciato in eredità, puntando tutto sulla communio e sulla caritas”.
“Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori,
perché la venuta del Signore è vicina”
Gc 5, 8
La vita del monaco, come di ogni consacrato, dev’essere una vita che si sviluppa nell’amore, poiché dall’amore è stata generata (VC 20 p.95). Ora la persona consacrata trova nel carisma un mezzo sicuro per essere dono di se stessa, dunque vivere il carisma per amare Cristo in modo radicale. Questo ci fa comprendere che dobbiamo conoscere il carisma non con una conoscenza teorica, o per avere un bagaglio culturale, bensì per viverlo e metterlo in pratica.
“Il progressivo configurarsi a Cristo si attua in conformità al carisma e alle disposizioni dell’Istituto a cui il religioso appartiene; ciascuno ha il proprio spirito, fisionomia, finalità e tradizione. I religiosi approfondiscano la loro unione a Cristo in modo conforme a questi elementi” (EE, n°46).
In questo modo diamo una risposta d’amore al dono di Dio; nell’attuazione del carisma noi esprimiamo il nostro amore al Signore, un amore che non si riduce a sentimentalismo e soggettivismo, nemici della vita consacrata; possiamo così anche superare il logorio, cui la fedeltà giornaliera alla Regola e al carisma, è sottoposta.
E’ vero; dobbiamo constatare una rilevante distanza fra la visione ideale e l’attuazione concreta; spesso nelle nostre comunità e in noi stessi non c’è slancio, non c’è attesa, non c’è speranza, e tanto meno, creatività. Non ci si impegna a fare venire fuori il nuovo nelle comunità. Ci si ricorda del passato e si rimanda ad esso un vigore carismatico che invece deve essere vero, vivo, e incisivo nel nostro oggi e non solo nel passato. Ci sentiamo pochi, deboli, avanti con l’età. Bisogna passare da questa esperienza di impotenza, di scoraggiamento e di sfiducia, se non di paura, per far risaltare la potenza di Dio. Si tratta per noi qui e oggi di accettare la sfida con cui la realtà si confronta il carisma, d’incarnarlo con forme significative ed efficaci, sviluppando la sua vitalità.
La vita monastica oggi, come tutta la vita consacrata, si trova di fronte alla grande sfida del secolarismo che ci porta all’edonismo sperperatore e si caratterizza per il narcisismo individualista.
“Un’autentica ripresa della vita consacrata non si può avere se non cercando di condurre un’esistenza pienamente evangelica senza nulla anteporre all’unico amore, ma trovando in Cristo e nella sua Parola l’essenza più profonda di ogni carisma del fondatore”. (Benedetto XVI 27.09.2005)
“Non si può vivere un carisma se non c’è amore filiale al padre, intimità e confidenza, condivisione dei gesti e dei passi decisivi con i fratelli.
Ogni monaco, essendo chiamato alla santità, è chiamato a fare un’esperienza dello Spirito nella sequela di Cristo, prendendo come esempio paradigmatico gli elementi essenziali dell’esperienza dello Spirito del nostro Santo Fondatore. San Bernardo Tolomei ci ha trasmesso l’ispirazione di fondo, il nostro modo di incontrare Cristo e di guardare e di attuare il Vangelo, di sentire e vivere il mistero della Chiesa, corpo mistico, e di conseguenza, il suo modo di guardare la realtà di leggere e di rispondere alle richieste dei segni dei tempi. L’atto di affido che i nostri confratelli di Monte Oliveto, e dei Priorati ad esso collegati, fecero il 4 maggio 1347 al nostro Fondatore, San Bernardo, fa intuire anche a noi oggi la sua passione e il suo amore per Cristo.
Vivere il carisma per amare Cristo, per rispondere con tutto il nostro essere al dono che Dio ci ha fatto, quella della vocazione monastica. Vivere il carisma per esprimere il proprio amore. Il carisma è pertanto come una guida per rispondere alla chiamata di Dio; in questo modo corrispondiamo alla grazia donataci, secondo la specifica forma di vita che il Signore ha scelto per noi nella nostra Congregazione; in questo senso per ciascuno di noi vivere il carisma di Monte Oliveto è la via migliore e più sicura per raggiungere la santità.
Il nostro punto di riferimento è la persona di Cristo - “Nihil amore Christi praeponere” – con le sfumature proprie con cui Bernardo Tolomei amò Cristo, e in lui, i fratelli in modo tale da volerli tutti uniti fra di loro con l’Abate di Monte Oliveto. E a noi ha lasciato questa sua testimonianza carismatica.
Nella Chiesa, per la Chiesa
In questa nostra impegnativa assimilazione del carisma di S. Bernardo, non bisogna dimenticare, e tanto più trascurare, la sua dimensione ecclesiale. Il carisma è un dono di Dio per la Chiesa. Come le nostre comunità possono oggi testimoniare questo carisma nella Chiesa e nella società?
Nel Medioevo il monaco era ritenuto un testimonium fidei non perché tutti i monaci andassero a predicare, a evangelizzare; nella maggior parte dei casi bastava la loro presenza per rendere questa testimonianza; praticavano la praedicatio muta. Così oggi, senza ostentare, senza troppo parlare, senza troppi depliant o simili cose, la comunità che vive la sua communio nella carità può senz’altro costruire un richiamo per tante, troppe famiglie afflitte da divisioni, litigi, infedeltà, violenze, tutto a discapito di vittime innocenti che sono i figli. La comunione nella carità si percepisce, non si argomenta. Questa praedicatio muta non richiede nemmeno che il monaco esca dal monastero; sono realtà che si avvertono, quasi senza accorgersene. Pensiamo al “Come si vogliono bene” dei primi cristiani. Stupirono il mondo di allora. L’azione benefica avrà una piccola zona di irradiazione nel piccolo campo della chiesa locale, ma non per questo meno significativa. D’altra parte è bene essere consapevole delle proprie limitate possibilità, che la grazia di Dio però, può condurre a risultati anche impensati da noi.
E nella società? In parte vale quanto si è già detto per la Chiesa, si deve riconoscere che il rapporto monastero-mondo rimane più difficilmente percepibile nella quotidianità. Ma altro è il discorso se si tratta di eventi particolarmente gravi. Non dobbiamo cercarli troppo lontano. E’ sufficiente riprendere un brano del messaggio pasquale del 2009 di Benedetto XVI per avere un quadro preoccupante della precarietà di oggi, quelle precarietà che al tempo del nostro santo Fondatore potevano essere rappresentate in modo drammatico dalla peste.
Questa la diagnosi del messaggio papale: “In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di povertà antiche e nuove, di cambiamenti climatici preoccupanti, di violenze e miserie che costringono molti a lasciare la propria terra in cerca di una meno incerta sopravvivenza, di terrorismo sempre minaccioso, di paure crescenti di fronte all’incertezza del domani, è urgente riscoprire prospettive capaci di ridare speranza. Nessuno si tiri indietro in questa pacifica battaglia iniziata dalla “Pasqua di Cristo”(Oss. Rom., 14-15 aprile 2009).
Come ci sottolineò il nostro confratello dom Giorgio nell’incontro sopra ricordato: “Neppure la comunità monastica olivetana potrà o vorrà tirarsi indietro, sempre in rapporto alla situazione nella quale il singolo monastero è inserito, o, comunque con scopi ben precisati. La grazia di comunione, di carità, potrà di volta in volta suggerire quali opere di carità cristiana si potranno intraprendere o sostenere”.
Come figli di San Bernardo Tolomei non possiamo rimanere tranquilli, o peggio, indifferenti nei nostri monasteri, nel caso che queste emergenze bussano alle nostre porte. Non sarà necessario abbandonare i chiostri – sarebbe una misura estrema - . Dovremo fare in modo in ogni caso che i fratelli provati ci sentano vicini, ci sentano prossimo, secondo le nostre possibilità, con le nostre preghiere e con la nostra solidarietà.
Poiché così parla l’alto e l’eccelso:
“In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati,
per ravvivare lo spirito degli umili, e rianimare il cuore degli oppressi”
Is 57, 15
CONSEGUENZE OPERATIVE
Che cosa comporta vivere il carisma per amare Cristo? Iniziamo la preparazione al decisivo Capitolo Generale 2010. Non c’è bisogno di sottolineare che le nostre Costituzioni non prevedono un “vacatio” di servizio, di osservanza e di testimonianza nell’avvicinarsi del tempo di fine mandato! Sono pienamente convinto, unitamente ai Padri Definitori, che l’avvicinarsi del Capitolo Generale debba accentuare l’osservanza dei nostri ordinamenti. Faccio vivo appello a tutti i nostri Superiori, in forza del loro ufficio e della loro paternità, come ben richiede il n°114 delle Costituzioni, ad entusiasmare i Confratelli, a gareggiare nell’osservanza dello “stile” di vita monastica, secondo a nessuno! Gareggiare nella puntualità e nella partecipazione agli atti comuni, nella carità, nel perdono reciproco, nel cercare più ciò che unisce che ciò che divide. Possiamo sentirci spronati da questa osservazione di Antonio da Barga: “dopo non molto tempo rigettaron0o gli abiti del secolo e si rivestirono di un abito più onorevole; deposte le scarpe calzarono degli zoccoli, e così si sforzavano di abbracciare sempre più la povertà. Assidui nella preghiera, con una tensione estrema al silenzio, rendevano lode a Dio con fervore, celebrando, in una cappella che essi avevano costruito come meglio potevano, il culto divino”.
La vicinanza del Capitolo Generale non deve generare un affievolimento nella nostra vita di preghiera, di lavoro, di fraternità, di accoglienza; tutt’altro! Ma tutti, stimolati anche dall’esempio e dall’insegnamento, dall’approfondimento della parola di Dio che ciascun Superiore deve donare ai propri fratelli: è inconcepibile che il Superiore non faccia mai un commento spirituale!
Attendere il Capitolo Generale non è aspettare Godot, ma comporta piuttosto un impegno ancora più forte nella nostra vita monastica in modo da condividere al Capitolo Generale le difficoltà e i problemi insieme alle gioie e alle speranze di una vita protesa alla ricerca di Dio che niente antepone all’amore per Cristo. Perciò, in questi mesi, viviamo tutti con ancora più fervore, la chiamata e la vocazione monastica come un servizio per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa.
I Superiori ancora di più abbiano a cuore che l’Opus Dei sia celebrato in modo esemplare e partecipato da tutti; si adoperino che i monaci abbiano un lavoro che realizzi le loro capacità e doni, in modo che, per quanto possibile, siano gratificati, per il loro mantenimento e quello della propria comunità, senza ricorrere a supplenze pastorali o a mezzi e strumenti meno idonei alla vita monastica. Si sforzino con tutti i modi perché nella comunità vi sia un rapporto da veri fratelli, che si prevengano in tutto. Siano anche aperti nell’ospitalità.
I monaci abbiano a cuore il buon mantenimento del monastero, siano parsimoniosi nelle necessità, e grati sempre per quanto l’Officiale incaricato può donare. Siano rispettosi con i fratelli e le sorelle laici, non introducendoli nelle problematiche personali e comunitarie. Non escano dal monastero per motivi futili, e dopo Compieta nessuno si permetta di uscire o introdurre estranei senza un chiaro ed esplicito consenso di un Superiore.
Il monastero sia pervaso dal silenzio, o meglio dalla taciturnitas, e da raccoglimento che favorisce l’unione con il Signore e l’apertura attenta alla sua Parola. Per questo sia moderato l’uso dei mezzi di comunicazione sociale ed elettronici; soprattutto sia sradicato il pernicioso vizio della mormorazione con la quale si ha da dire di tutto e di tutti: essa nulla costruisce e tutto divide. Ogni ostro monastero si caratterizzi per l’apertura all’ospitalità (cfr Sintesi dell’Osservanza di Monte Oliveto n°5). “Chi entra in monastero vi cerca un’oasi spirituale dove apprendere a vivere da veri discepoli di Gesù in serena e perseverante comunione fraterna, accogliendo pure eventuali ospiti come Cristo stesso (cf. RB 53,1). E’ questa la testimonianza che la Chiesa chiede al monachesimo anche in questo nostro tempo”. (Benedetto XVI – 20 nov 2008)
Non ultimo, nell’avvicinarsi del Capitolo Generale, tutti, sia individualmente che comunitariamente si adoperino ad accogliere ciò che Dio vuole da ciascuno di noi e dalle nostre comunità. Se in tutti i monasteri ci sentiremo impegnati, e particolarmente uniti fra di noi nell’attuare queste indicazioni dottrinali e operative, allora nella preparazione attiva e dinamica al Capitolo Generale, si potrà parlare in modo più realistico dell’unum corpus, di comunità sorelle, di amore verso la Casa Madre, e in seguito, dell’aiuto che ognuno di noi e ogni comunità dovrà dare a colui che sarà prescelto come testimone dell’unità, della comunione e dello sviluppo della nostra famiglia monastica.
Carissimi Superiori, e carissimi Confratelli, il momento che viviamo è molto delicato, in qualche ambito anche critico, ma è pure ricco di tante opportunità: necessita solo la nostra disponibilità a lasciarsi plasmare dalla grazia; grazia che non mortifica il passato, sostiene il presente e ci apre con speranza al futuro; grazia, cioè misericordia che non ci classifica per le nostre mancanza, ma ci armonizza in quel grande mosaico dove la bellezza è la fusione di tutti noi, con le proprie diversità. Dio voglia che questo mosaico sia completo in tutti i suoi tasselli, e che porti l’immagine di ciascuno di noi, in reciproco e stretto rapporto di comunione: è la visione del Santo Fondatore nella scala che univa cielo e terra, in forza dell’unità che esisteva fra i fratelli, tutti protesi al vivere l’esperienza di Cristo sullo stile di san Paolo: “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”.
Quali gli Auguri Natalizie 2009?
L’anno che si conclude è stato caratterizzato da due eventi che restano nella storia della nostra Congregazione, e non solo: la santificazione del nostro santo fondatore: 26 aprile, e la conclusione solenne del IV centenario della canonizzazione di santa Francesca Romana: 18 ottobre: solenne processione per i fori imperiali a Roma e 19-21 novembre Convegno Internazionale su Santa Francesca Romana.
Colmi di gratitudine, tutti noi ci porteremo davanti alla grotta di Betlemme, celebrando il grande amore del Padre, che ci ha tanto amato da donarci il suo Figlio. Il natale di Gesù testimonia che l’amore del Padre non viene meno, non si interrompe mai. Una luce brilla su di noi, a questa luce risplende ancora di più la santificazione del nostro san Bernardo e il dono luminoso del suo carisma; per questo mi sono soffermato in questa lettera natalizia a parlare di questo tema mai abbastanza approfondito, e della sua attuazione pratica.
“Una luce brilla su si noi” è la luce di Cristo che rende ancora più luminosi gli eventi avvenuti quest’anno. Non possiamo restare chiusi in noi stessi, ma dobbiamo aprirci ancora di più alla speranza e alla gioia.
Questo è il mio particolare augurio natalizio di quest’anno. La stella luminosa che è Cristo non sparisce mai dai cieli della nostra vita, dai cieli della nostra Congregazione, dai cieli dell’umanità.
I pastori che vegliano nella notte e scrutano l’aurora ci diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, la gioia e la forza della speranza. Tutti insieme, monaci, monache e suore della famiglia Olivetana, in cammino verso Betlemme, qualunque sia la nazione o il continente dove si trova il nostro monastero, là è la sorgente della nostra comunione. A Gesù, nella sua grotta vogliamo portare i doni dei confratelli e delle consorelle, la loro gioia, la loro fede, le loro sofferenze e le loro speranze, e soprattutto, la loro tensione verso la santità, certi che l’amore di Cristo valorizzerà e perfezionerà tutto. Questo il mio augurio benedicente per un Buon Natale 2009.
Un auguri che voi, amati Superiori, comunicherete a nome mio a tutti gli oblati e oblate, a tutti noi tanto cari.
La benedizione bene augurante, in questo tempo di preparazione al Capitolo Generale che stiamo vivendo, va soprattutto ai confratelli della Commissione Preparatoria: Abate Diego, Abate Charles, dom Giona, dom Gregorio M. Botelho, Stefano M. Brina e al suo Presidente, dom Donato M. Giordano, perché possano essere solerti strumenti e mediatori per una predisposizione dinamica e accurata di tutta la Congregazione a questo evento decisivo.
+ MICHELANGELO M. TIRIBILLI OSB OLIV
ABATE GENERALE DELLA CONGREGAZIONE BENEDETTINA OLIVETANA
Ringrazio il P. Abate generale per la bella lettera pastorale natalizia e per la sua benedizione, estesa anche a noi oblati.
È la manifestazione sincera ed affettiva di un padre che rinnova ai propri figli sì le sue legittime ed inevitabili preoccupazioni, ma contemporaneamente li sprona al superamento delle loro difficoltà e dei loro limiti, tenendo ben fisso il loro sguardo non solo alla grande grazia iniziale della loro chiamata, ma anche all’aiuto ed al conforto che questa grazia rinnovata può fornire loro nel tempo, insieme all’onnipresente paterna protezione del Santo fondatore, alla comunione fraterna di preghiera e di carità di tutta la comunità olivetana e del corpo intero della Chiesa stessa di Cristo.
Naturalmente come oblata mi sento implicitamente coinvolta nel vostro sforzo di preparazione all’evento importante del Capitolo Generale con la preghiera e nello sforzo di miglioramento del mio agire quotidiano secondo i doveri e gli obiettivi del mio stato, certa che anche voi non dimenticherete di sostenerci con la vostra preghiera come “piccoli fratelli” della Congregazione chiamati anch’essi alla santità.
L’Abate non si nasconde e non nasconde i pericoli, i timori e le difficoltà del tempo attuale, sia per l’attualizzazione della santificazione, che per il raggiungimento di quella carità forte auspicata come meta che richiede preghiera, rispetto, umiltà e pazienza ad ogni vita umana comunitaria dentro e fuori di un convento.
Questo sano realismo è ulteriore sprone ad una sincera verifica personale ed allo sforzo di alzare il livello di aspettative sia individuali che di appartenenza alla comunità .
Alla luce di tutto questo, vorrei presentare al Reverendo Abate il mio ringraziamento personale per la sua lettera natalizia tanto concreta quanto paterna, ed augurare a lui per il Nuovo Anno 2010 tutta la grazia, la forza morale e fisica e l’aiuto della Spirito Santo per gli obiettivi che tanto gli stanno a cuore sia per la sua Comunità che per la Chiesa intera.
Un’oblata
del monastero olivetano
di S. Francesca Romana
Roma
venerdì 1 gennaio 2010
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